Roma-Segreta #2

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GHETTO DI ROMA

1. Ghetto di Roma

Il ghetto ebraico di Roma è tra i più antichi ghetti del mondo; è sorto 40 anni dopo quello di Venezia che è il primo in assoluto. Il termine deriva dal nome della contrada venezianagheto, nella quale esisteva una fonderia (appunto gheto in veneziano) e dove gli ebrei di quella città furono costretti a risiedere; un’altra possibile etimologia fa risalire l’origine di questa parola all’ebraico, con il significato di separazione.

 
 

Il 12 luglio del 1555 il papa Paolo IV, al secolo Giovanni Pietro Carafa, con la bolla Cum nimis absurdum, revocò tutti i diritti concessi agli ebrei romani ed ordinò l’istituzione del ghetto, chiamato “serraglio degli ebrei”, facendolo sorgere nel rione Sant’Angelo accanto al teatro di Marcello. Fu scelta questa zona perché la comunità ebraica, che nell’antichità classica viveva nella zona dell’Aventino e soprattutto in Trastevere, vi dimorava ormai prevalentemente e ne costituiva la maggioranza della popolazione.

Oltre all’obbligo di risiedere all’interno del ghetto, gli ebrei, come prescritto dal paragrafo tre della bolla, dovevano portare un distintivo che li rendesse sempre riconoscibili: un berretto gli uomini, un altro segno di facile riconoscimento le donne, entrambi di colore glauco[2] (glauci coloris). Nel paragrafo nove, inoltre, veniva loro proibito di esercitare qualunque commercio ad eccezione di quello degli stracci e dei vestiti usati. Da tale eccezione ebbe successivamente origine, in Roma, una tradizionale presenza degli ebrei nel campo del commercio dell’abbigliamento e di alcuni dei suoi accessori. Nella stessa bolla era loro proibito di possedere beni immobili. Questo contribuì, a partire dagli ebrei dell’epoca, a rivolgersi verso i beni mobili per eccellenza, ovvero l’oro e il denaro, e da ciò ebbe origine quella liquidità che fu utilizzata dagli stessi papi per ottenere prestiti.

Inizialmente erano previste nel ghetto due porte che venivano chiuse al tramonto e riaperte all’alba. Il numero degli accessi, aumentando l’estensione e la popolazione, fu successivamente ampliato a tre, a cinque e poi ad otto[3].

La proibizione al possesso dei beni immobili da parte degli occupanti diminuì la cura per la loro conservazione. Per questo motivo le case del ghetto erano particolarmente degradate (il che tra l’altro, negli anni seguenti la Proclamazione del Regno d’Italia, avrebbe giustificato il neo-insediato governo italiano a ordinarne la demolizione, in occasione della costruzione dei Muraglioni del Tevere).

Il ghetto, nella sua antica configurazione, costituiva un unicum rispetto al resto della città. Le case erano alte a causa della forte densità abitativa. Porte di comunicazione tra abitazioni limitrofe e ponti di collegamento tra un isolato e l’altro facilitavano la fuga in occasione delle prevaricazioni dei gentili, come ad esempio quelle che avvenivano per la caccia agli ebrei in occasione dell’allestimento del carnevale romano). Poiché il ghetto era a ridosso del Tevere, inoltre, le facciate degli edifici a causa del fango del fiume avevano assunto una colorazione a strati, corrispondente alla cronologia delle piene.

Nel 1572 papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, impose agli ebrei romani l’obbligo di assistere settimanalmente, nel giorno di sabato, a prediche che avevano il fine di convertirli alla religione cattolica. Queste “prediche coatte” si tennero, nel corso dei secoli, con risultati invero assai modesti, in sedi diverse, tra le quali: Sant’Angelo in PescheriaSan Gregorio al Ponte Quattro Capi (ora San Gregorio della Divina Pietà) e nel Tempietto del Carmelo. L’obbligo fu revocato solamente nel 1848 da Pio IX. Secondo quanto afferma un’antica tradizione, gli ebrei si preparavano all’ascolto tappandosi le orecchie con la cera (la scena è rievocata nel film Nell’anno del Signore di Luigi Magni).

Il 6 ottobre 1586, con il motu proprio Christiana pietaspapa Sisto V revocò alcune restrizioni e consentì un piccolo ampliamento del quartiere che raggiunse un’estensione di tre ettari.

Le vicende della Rivoluzione francese e delle conquiste napoleoniche, sia pure con anni di ritardo e per un periodo limitato, modificarono le condizioni di vita degli ebrei romani. Il 10 febbraio 1798 le truppe francesi, comandate dal generale Berthier, entrarono in città. Il 15 febbraio venne proclamata la Prima Repubblica Romana e il 17 dello stesso mese, all’interno del ghetto, in piazza delle Cinque Scole, fu eretto un “albero della libertà“; il successivo 20 papa Pio VI fu costretto a lasciare Roma ed il giorno dopo, a Monte Cavallo[4], il comandante francese proclamò la parità di diritti degli ebrei e la loro piena cittadinanza.

Tale condizione ebbe breve durata: nel 1814, con il definitivo ritorno del nuovo pontefice Pio VII, gli ebrei furono nuovamente rinchiusi nel ghetto.

Nel 1825, durante il pontificato di papa Leone XII, il ghetto, la cui popolazione era considerevolmente aumentata[5], venne ulteriormente ingrandito.

Il 17 aprile 1848papa Pio IX ordinò di abbattere il muro che circondava il ghetto. Con la proclamazione della Repubblica Romana, nel 1849, la segregazione fu abolita e gli ebrei emancipati. Caduta la Repubblica, lo stesso pontefice obbligò gli ebrei a rientrare nel quartiere, sia pure ormai privo di porte e cinta muraria.

Il Regno d’Italia

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Il 20 settembre 1870 toccò ad un ufficiale ebreo piemontese il compito di comandare la batteria dei cannoni che aprì una breccia nelle mura di Roma a Porta Pia, Giacomo Segre. Con l’annessione della città al Regno d’Italia terminò il potere temporale dei papi, il ghetto fu definitivamente abolito e gli ebrei equiparati ai cittadini italiani.

Nel 1888, con l’attuazione del nuovo piano regolatore della capitale, buona parte delle antiche stradine e dei vecchi edifici del ghetto, malsani e privi di servizi igienici, furono demoliti creando così tre nuove strade: via del Portico d’Ottavia (che prendeva il posto della vecchia via della Pescheria), via Catalana e via del Tempio. Sono scomparsi in questo modo interi piccoli isolati e strade che costituivano il vecchio tessuto urbano del rione, sostituiti da ampi spazi e quattro nuovi isolati più ordinati ma anche meno caratteristici. In particolare, scomparve anche la caratteristica piazza Giudea con i suoi edifici degradati, che era uno degli spazi principali di accesso al Ghetto: al suo posto oggi si aprono ampie vie. Per avere un’idea di come doveva apparire il vecchio ghetto basta osservare la fila di edifici che si trovano sul lato nord di via del Portico d’Ottavia, accanto a ciò che rimane dell’antico complesso augusteo.

Nel 1889 venne indetto un concorso per la costruzione della nuova sinagoga e selezionati due progetti. Nel 1897 la Comunità ebraica acquistò dal Comune di Roma l’area tra Lungotevere Cenci e via del Portico d’Ottavia, resa libera dalle precedenti demolizioni, per la costruzione del tempio. Nel 1899 venne scelto il progetto dell’architetto Osvaldo Armanni e dell’ingegnere Vincenzo Costa, ispirato a motivi assirobabilonesi e dell’Art Nouveau. I lavori, iniziati nel 1901, terminarono nel 1904 ed il 29 luglio dello stesso anno il Tempio Maggiore di Roma fu inaugurato. Nel seminterrato dell’edificio ha trovato recentemente sistemazione il Museo ebraico.

Durante il nazifascismo

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